Disquisizione sul “settembre eterno” ed uso improprio delle piattaforme online
In questo post parleremo del termine “settembre eterno” e di come le piattaforme online siano spesso usate impropriamente, sopratutto dalle seconde generazioni (di fatto le più numerose).
Il termine “settembre eterno” (termine misconosciuto ai più e purtroppo anche dagli “addetti ai lavori”) rappresenta quella situazione in cui un ambiente digitale frequentato dagli early adopter (i primi utilizzatori) con regole e netiquette imposte dai creatori del sistema, viene invaso dalla seconda generazione che invece di seguirle replica impropriamente comportamenti di altri socal network oppure impone attività impreviste. Quello che si viene a creare è inevitabilemente un contrasto tra la prima e la seconda generazione di utilizzatori.
L’esempio più significativo può essere quello che sta accadendo ora in LinkedIn, piattaforma professionale per eccellenza, letteralmente invasa dalla seconda generazione di utilizzatori che lo hanno scambiato per Facebook pubblicando contenuti spassosi e divertenti ma del tutto fuori luogo su tale piattaforma. Seppur il fenomeno non sia ancora dilagante, la disquisizione è necessaria ma sopratutto merita di essere vista sotto un altro punto di vista.
Personalmente ritengo che siano gli utenti a decretare le funzionalità, l’aspetto, il successo ed il futuro di una piattaforma.
E’ solo in base ai comportamenti di molti che si può tracciare la rotta per gli sviluppi di una pittaforma. Gli esempi di social networks che hanno forzatamente cambiato rotta durante la crescita sono numerosi, primo fra tutti Twitter che nel primo anno di lancio si auspicava che gli utenti scrivessero con un linguaggio impersonale (ad esempio “daniele sta guardando la tv”) ma purtroppo gli utilizzatori cambiarono presto questa regola nel modo in cui conosciamo oggi (“sto guardando la tv”).
Maggiormente oggi, dove lo sviluppo di una startup web sfrutta paradigmi di programmazione e sviluppo “agile“, questo tipo di comportamento imprevisto è inevitabile in quanto molto spesso né il target, né la rotta, sono tracciati in modo adeguato e molto spesso tali cambio fanno addirittura parte del business plan della startup.
Se da un lato l’uso improprio di una piattaforma da parte degli utilizzatori è qualcosa che può sicuramente infastidire (proprio oggi ho visto un gattino su LinkedIn!!!), dall’altro può essere sicuramente visto come una risorsa che ne traccia lo sviluppo e l’evoluzione della piattaforma stessa. Ricordiamoci che sono gli utenti a decretare il successo di un ambiente digitale e non i loro creatori, seppur con tutte le buone intenzioni.
Curiosità: perchè si dice “settembre eterno”?
Il termine deriva dal mese in cui, nelle università americane, vi era un enorme afflusso di iscrizione di matricole che si approcciavano a Usenet (antesignana dell’attuale Internet) che spesso utilizzavano impropriamente vista l’inesperienza universitaria. Troverete sicuramente maggiori informazioni su Wikipedia.
Personal branding significa Brand Reputation
Nell’ambito lavorativo purtroppo l’ostacolo maggiore con cui mi scontro è il far capire che mantenere in modo adeguato il proprio personal branding significa di fatto costruire la propria brand reputation.
Questo per un semplice motivo: dietro le aziende ci sono le persone. Più specificatamente dietro ad una azienda può esserci unicamente una persona (o essere riconosciuta con essa) e quindi il proprio personal branding si porta dietro la reputazione del marchio di cui si è titolari. Questo avviene sempre nel caso di freelance o liberi professionisti, ma avviene anche per soci o amministratori delegati di società (piccole o grandi che siano).
Se qualche anno fa, indicativamente prima dell’avvento dei social networks, era impensabile poter individuare chi stava dietro ad un marchio o una azienda (se non con una visura camerale), oggi la ricerca è diventata molto più semplice in quanto può bastare inserire l’indirizzo email personale, o il nome e cognome, in un social network (linkedin, facebook, twitter per citarne alcuni) per avere accesso alle informazioni più disparate e, nella quasi totalità dei casi, alla vita privata del soggetto in questione. Per ampliare la ricerca può bastare farlo in un motore di ricerca e il gioco è fatto.
La domanda che bisogna porsi, da titolari di attività o aziende, dovrebbe essere questa: “Vorrei che qualcuno parlasse male di me e lo scrivesse sul web, a disposizione di chiunque?”
La risposta è chiaramente ovvia. Il problema è che il più delle volte siamo noi stessi a parlare male di noi o, meglio, a fare in modo che quello che viene percepito di noi sui motori di ricerca, sui social networks ed in generale sul web sia del tutto inadeguato e controproducente. La situazione è sotto gli occhi di tutti in quanto basta cercare le persone con cui siamo in contatto per vedere sui loro profili social personali le peggiori rappresentazioni di loro stessi. Non sto parlando semplicemente di fotografie di cui chiunque si vergognerebbe (e assicuro che molti ancora le pubblicano) ma sto parlando di contenuti assolutamente fuori dal contesto delle propria attività. Gli argomenti più popolari riguardano la politica con la pubblicazioni di link ai video dei propri paladini politici oppure links a blog di disinformazione, bufale online spacciate come vere, catene “acchiappa like” e ogni tipologia di gattino o cagnolino in cerca di casa.
Resta chiaro che ognuno è a libero di utilizzare i propri profili social, blog e siti web come meglio crede. Quello che fa la differenza è però il saper usare gli strumenti e conoscerli abbastanza da poterli sfruttare nel migliore dei modi. Molti non conoscono nemmeno la funzionalità delle liste di Facebook (e vi assicuro che quando ne parlo si illuminano gli occhi), figuriamoci se filtrano i contenuti che postano. Essere sui social networks non significa semplicemente registrarsi e fare quello che fanno gli altri iscritti, ma significa capire come sfruttare lo strumento a favore del proprio business, conoscerne i limiti, stabilirne il target e studiarne le funzionalità senza fermarsi alla superfice. Fare questo, oltre che a costruire il proprio personal branding, significa aiutare la brand reputation del marchio aziendale che rappresentiamo.
Basta davvero poco, semplici accorgimenti e piccole indicazioni che possono scongiurare una figuraccia lasciando spazio ad una figura professionale impeccabile, social e di livello.
Parliamone.